Siamo in piena Fashion Revolution Week e l’intervista che segue esprime la volontà di approfondire in modo sostanziale e pratico alcuni aspetti del complesso ed importante tema della sostenibilità nel campo della moda, oltre i facili slogan.
Il lavoro di consulente di immagine mi porta a vivere la moda come strumento ed opportunità e per poterne fare buon uso è fondamentale per me approfondirne la conoscenza sotto molteplici punti di vista. Ho la fortuna di collaborare con piccole realtà d’eccellenza della mia città, fatte di persone con background poliedrici e sete di scoperta e riscoperta: una di queste è Gretel Moratto, fashion designer genovese, promotrice ante litteram del “fare moda sostenibile”.
Non perdiamo altro tempo ed entriamo nel magico mondo del “dietro le quinte” di Vezza Boutique, di cui vi ho parlato qui un anno fa nel mio primissimo articolo per Le Strade.
Gretel qual è il tuo concetto di sostenibilità applicato alla moda?
La mia idea su quello che sta succedendo nella moda negli ultimi anni è ambivalente: se da una parte finalmente si sta collettivamente prendendo coscienza della bestialità del fast fashion, e per fast fashion non intendo dei nomi, ma proprio un modo di affrontare la produzione che riguarda trasversalmente l’80% dei capi realizzati, dall’altra mi sembra una sorta di isteria di massa da cavalcare proprio perché di moda, e qui sta il paradosso, purtroppo spesso senza una conoscenza e una coscienza profonde di quello di cui si sta parlando. Nel dibattito spesso si sostiene che sia preferibile il chiasso al silenzio: nì, è appunto la mia posizione. Personalmente non dico mai a me stessa “faccio una scelta invece di un’altra per potermi definire sostenibile”, dal primo vestito che ho pensato le caratteristiche di un approccio sostenibile alla moda erano già intrinseche in esso. Io credo che la formula giusta per rapportarsi con questo tema sia: consapevolezza, misura, costanza.